Si conclude il Centenario della nascita di don Lorenzo Milani. Gli interventi di Zagrebelsky, Bindi e Betori.
Un presenza numerosa, con molti giovani e gli interventi delle Istituzioni (tra queste Regione Toscana, Comune e Città Metropolitana di Firenze, sindaci di Verona, Borgo San Lorenzo, Calenzano, Montespertoli, Pontassieve e Vicchio, rappresentanti dei Comuni di Rignano sull’Arno, Sesto Fiorentino, Castelfranco Piandisco, Scarperia e San Piero, Dicomano e Unione Comuni Mugello) e della Fondazione don Milani, Istituzione culturale don Milani e e Gruppo Calenzano.
Con loro il Presidente Emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, Rosy Bindi per il Comitato del Centenario della nascita di don Lorenzo Milani, il card. Betori e il presidente della Fondazione e tra i primi sei di Barbiana Agostino Burberi. Nella mattina la marcia dal Lago Viola a Barbiana, quindi gli interventi di associazioni e istituzioni con il coordinamento di Giuseppina Paterniti. Nel pomeriggio celebrata la Messa in ricordo del Priore di Barbiana.
“Vi consegniamo la Costituzione perché il futuro è la Costituzione e dobbiamo coltivare quel patriottismo costituzionale di cui ha bisogno il paese”.
Così Rosy Bindi, ha concluso a Barbiana il Centenario della nascita di don Milani con decine di ragazzi e i giovani dell’associazionismo laico e cattolico. Con lei il cardinale Mons. Betori, il presidente emerito della Consulta Zagrebelsky, e i rappresentanti delle associazioni che sono intervenuti nel corso della manifestazione, al termine della tradizionale marcia di Barbiana.
La presidente del comitato nazionale ha ringraziato i tre enti promotori La Fondazione don Lorenzo Milani, L’istituzione don Milani di Vicchio, il gruppo don Milani di Calenzano, e tutte le istituzioni dai ministeri competenti alla Regione Toscana, che hanno contribuito alla riuscita del centenario.
In particolare ha poi ringraziato “tutti i suoi ex allievi, a partire da Michele Gesualdi fino ad Agostino Burberi, che sono stati in questi anni custodi di questo luogo, conservato con la sua semplicità e umiltà”.
Un anno fa, all’apertura del centenario, ha ricordato Bindi, il Presidente Mattarella “custode della Costituzione” aveva riconosciuto in don Milani “un cittadino esemplare che faceva appello alla Costituzione nella difesa degli obiettori di coscienza, dei diritti dei lavoratori, nel rifiuto della guerra. Inquieto per i ritardi con cui veniva applicata quella che, diceva don Lorenzo, non era una legge qualsiasi ma la legge che Cristo aspettava da noi da 2000 anni perché è l’unica che ridia al povero un volto quei d’uomo”.
Per Bindi si sta tornando indietro “nel diritto alla scuola, al lavoro, alla salute. Nei diritti di sciopero e di critica. Stiamo tornando indietro sui poveri che oggi sono anche i migranti che non vengono accolti”.
Per questo Bindi ha messo in guardia dalle modifiche costituzionali che mettono in discussione “il nostro modello di democrazia, pluralista, partecipata fondata sulla centralità del parlamento, sui poteri del Capo dello Stato, sul ruolo della Consulta.
Questa democrazia è la sentinella vera dei nostri diritti. Smantellare la seconda parte della Costituzione significa mettere a rischio i diritti e le libertà riconosciuti nella prima parte”.
Anche il Presidente emerito della Corte Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky si è rivolto ai giovani “liberatevi dalle mode, dal conformismo, coltivate la vostra originalità, non abbiate paura di rompere le scatole, di ribellarvi
all’omologazione, siate costruttivi e dialettici”.
Zagreblesky ha quindi ricordato il processo subito da don Milani per aver difeso l’obiezione di coscienza al servizio militare:
“Ci sono dei casi in cui la non osservanza di una legge ingiusta, che non rispetta i diritti dei più deboli, è un atto di fedeltà alla Costituzione. Vivere la Costituzione – ha concluso – presuppone che si corrano dei rischi e ci si assuma una responsabilità”.
Il Cardinale Betori, ha ricordato “la ricerca di assoluto che muove tutta l’esistenza di don Milani, prete fedele al Vangelo, impegnato a educare i suoi ragazzi allo sviluppo di una coscienza libera”.
Il cardinale ha ricordato le parole milaniane più ricorrenti in questo centenario “Libertà, responsabilità, bene comune racchiuse nel motto I care, che esprimeva tutta la sua esistenza” e ha invitato i giovani “a interpretare il presente, come faceva don Milani, con spirito critico”.
Nel pomeriggio celebrata la Santa Messa.
Intervento del Card. Giuseppe Betori
Quando devo parlare di don Lorenzo Milani, mi lascio guidare dalle parole che Papa Francesco pronunciò in questo luogo il 20 giugno di sette anni fa. Il suo discorso fu tutto teso a rivendicare la figura sacerdotale del priore di Barbiana e prima ancora la sua fede come ricerca dell’assoluto.
Vi ricordo alcune di quelle parole: «A tutti voglio ricordare che la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui. La dimensione sacerdotale è la radice di tutto quello che ha fatto. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito».
E a questo punto il Papa riprese parole della madre di don Milani, Alice Weiss: «Mio figlio era in cerca dell’Assoluto. Lo ha trovato nella religione e nella vocazione sacerdotale».
Questo è il fondamento, ma su questa base poi il Papa ha sintetizzato la vita di don Milani attorno a tre riferimenti: la scuola, per dare ai poveri la parola e quindi la dignità; l’appartenenza alla Chiesa, anche quando in questo legame si sperimenta l’incomprensione e la sofferenza; infine, la cura educativa verso i giovani.
Proprio in quest’ultima prospettiva il Papa colloca alcune riflessioni che si riferiscono a valori decisivi per la persona e la società che troviamo espressi nella nostra Costituzione. Ha detto Papa Francesco: «Da insegnare ci sono tante cose, ma quella essenziale è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune.
Troviamo scritto in Lettera a una professoressa: “Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
Questo è un appello alla responsabilità. Un appello che riguarda voi, cari giovani, ma prima di tutto noi, adulti, chiamati a vivere la libertà di coscienza in modo autentico, come ricerca del vero, del bello e del bene, pronti a pagare il prezzo che ciò comporta. E questo senza compromessi». Fin qui il Papa.
Libertà, responsabilità, confronto, compromettersi (I Care), agire senza compromessi, insieme, bene comune, farsi carico degli altri, vero, bello e bene. Questo è il vocabolario che il Papa indica come la lezione che ci viene dalla vita di don Milani.
Nel prendere atto di questa lezione va sottolineato che don Milani questi riferimenti valoriali non li ha mai enunciati come un programma per gli altri, ma li ha vissuti come fattori costitutivi della sua persona e della sua missione.
Questo a cominciare dal noto motto I Care, che non stava e non sta scritto sulle pareti dell’aula in cui faceva scuola ai suoi ragazzi, come un insegnamento tra gli altri, ma sulla porta della propria camera, a dire cioè che egli viveva per loro e solo per questo poteva esigere che loro vivessero per gli altri, in un impegno sociale senza sconti.
È una lezione fondamentale per non ridurre anche le idee più belle a ideologie e gli insegnamenti più giusti a moralismo. Per non dire poi di quel mondo, assai diffuso purtroppo, in cui la parola responsabilità appare soffocata dall’anonimato e dal conformismo dei social.
Non è facile vivere come insegna e testimonia don Milani; c’è un prezzo da pagare. Don Milani ne ha pagati molti di questi prezzi alla coerenza, molti anche a causa della sua Chiesa, che però non ha mai voluto rinnegare.
Questo mi permette di star qui, consapevole dei torti che don Milani ha subito dalla Chiesa fiorentina, ma anche con la certezza che egli avrebbe salutato con gioia momenti come questo, in cui la Chiesa ne riconosce la capacità di essere stato fedele ai suoi tempi.
Non mi piace dire che egli era più avanti rispetto alla Chiesa del tempo, perché la sua forza è stata quella di aver interpretato come nessuno il cambiamento sociale e religioso del suo tempo, perché questo e nient’altro ci è chiesto: fedeltà al nostro tempo per illuminarlo con una parola di verità e con responsabilità.
È quello che auspico per me e per tutti voi, cari giovani.