Giovedì 10 novembre 2022, nella Sala Oriana Fallaci di Palazzo Medici Riccardi (con ingresso in via dei Ginori 8, alle ore 17.30, la consigliera delegata alla Cultura Letizia Perini, Filiberto Segatto e Michele Brancale presenteranno, con l’autore, il nuovo libro di Paolo Fabrizio Iacuzzi “Peste e Guerra. La poesia non salverà la vita” (ed. Interno e poesia), inedito viaggio con una bicicletta, Bianca, immagine di resistenza o meglio di resilienza di una scrittura poetica nell’arco di quarant’anni: dalla guerra di Bosnia a quella dell’Ucraina, dall’Aids al Covid-19, dalla violenza alla discriminazione sessuale. Una prima parte del volume è composta da versi scelti dalla vasta produzione di Iacuzzi, uno dei maggiori poeti della sua generazione, e una seconda che mette in scena il dialogo con il suo interlocutore-curatore-inquisitore, il giovane poeta Michele Bordoni.
Il giorno successivo, venerdì 11 novembre, ‘Peste e guerra’ verrà presentato a Pistoia, alle ore 18, alla libreria ‘Lo Spazio’, da Filiberto Segatto e Augusto Iossa Fasano.
Alcune poesie tratte dal nuovo libro di Paolo Fabrizio Iacuzzi
Giorni vicini al solstizio d’estate. Nel Piano di Furia
sedato dal dolore. E lui in piedi davanti al tribunale
delle Ortensie. Baffi arricciati in su per inquisire. Così
è arrivata la bella stagione. Col puntaspilli alle spalle.
Ficcate nel suolo le Annabelle. Le bianche idrangee
femmine in questo contesto. Quelle belle porzioni
di cervello issate sulle spade. Intelligenze franate
lungo la ringhiera del bastione che ora si affolla.
Per giudicare il corpo. Quel suo corpo infilzato da
spade. Per apporvi bucato il cartamodello da sarto
col bisturi e fili. Discendendo lui da antichi cerusici.
Per quelle tavole di anatomia che avrebbe redatto
con dovizia imposta da parole. Ortensie immense
assise al fuoco. All’ombra del vecchio cerro malato.
La generazione dei nemici
Ritrovarsi fra tanti amici. Noi per dire
io Andrea e Marco in un nome. Ritrovarsi
per stare in agguato. Perdemmo presto
i nostri padri. Ma noi per dire io abbiamo
di nuovo una casa. Noi per dire io
fummo tra voi prima che ci conosceste.
Vostri amici e nemici dispersi. Chi
portando libri in una collana annerita.
E chi pensando di smacchiare il nome
della comune poesia. Chi di ogni alto
palcoscenico fa vanto per un solo fine.
E chi in basso appartamento si erge
sul piedistallo. Ma noi per dire io
abbiamo impiegato tanto tempo.
Siamo i vostri fratelli maggiori. O forse
i minori del vostro comune amore.
Palinuro Mariupol
Palinuro l’amico d’infanzia. Trasfuso in noi
per virus nasale. Se il nocchiero per teatro
si cela dentro un anagramma. Per questo
nuovo esodo col grande caduto insepolto.
Fosse comuni e lapidi non scritte. Mai erette
nella terra nuda. Grigioverde senza le toppe
di colore. Taras Bulba tornato dopo la peste
per il tempo dell’Apocalisse. Per i trent’anni
di stragi dalla Bosnia. Per le donne che una
dice la violenza ci spezza. Ma nascondiamo
il computer con la foto del nostro amore.
Col nostro cuore indomito. Mentre passa lei.
E Frida già trasfonde il sangue dal cartellone
per tutti. Sommersi nel teatro di Mariupol.
Alcuni giudizi critici.
“Si capiva fin da subito che l’intervista si fosse già trasformata in qualcosa di più, quasi in un teatro dove le figure dei due personaggi diventano altro, protagonisti di una tela o di un quadro d’antan.” (Michele Bordoni, dall’introduzione)
“Nonostante il volume sia composto di testi selezionati dalle sei precedenti raccolte, alle quali si aggiunge una settima sezione inedita, non è tuttavia un’antologia. A tutti gli effetti è, invece, una nuova rapsodia epico-lirica, che fa tutt’uno con prefazione e dialogo e che, perciò, rinnova e dilata fino all’auto-epistemologia il modo di costruzione del libro e lo stile compositivo del verso, tipici da sempre dell’autore pistoiese.” (Gabrio Vitali, “Il Manifesto”)
“Componimento unico, unico ecosistema ogni volta straziato e consolato; fotografia d’un moto incoercibile che i versi ha sbriciolato in trucioli crepuscolari, in cesure-punti-cicatrici, reso le parole e i sintagmi tessere di mosaico recuperate ai fanghi del tempo, alle distruzioni, alle rovine, alle infamie della vicenda umana, e rimontate sbieche. Qui si va avanti a frasi mozze come colpi di vanga che scavano la fossa, per la sepoltura e/o per la riesumazione, per tutte e due le cose insieme.” (Angelo Airò Farulla)
“La tensione gnoseologica fondamentale della poesia di Iacuzzi possiede sempre una sfumatura metafisica, per cui la reale risoluzione delle diversità sociali è possibile soltanto nell’eschaton, nei tempi ultimi. Metafisico e a tratti surrealistico è il linguaggio che, ancora, cresce sul contrasto e sulla diffrazione.” (Alberto Fraccacreta, SuccedeOggi)
“Si tratta di una sorta di unicum, di un procedimento personalissimo e anomalo, le cui ascendenze storiche e letterarie diventano di non sempre facile decrittazione, ricche come sono di criptocitazioni, quasi si trattasse di un elenco di geroglifici che solo un illuminato Champollion sarà in grado di interpretare tramite la rivelazione della stele di Rosetta.”
(Pasquale Di Palmo, “Ytali”)